Luogo comune n. 6:
SI DEVE SCEGLIERE “DA CHE PARTE STARE” TRA INCENERIMENTO E RD
E’ falso, perchè:
Incenerire (bene) significa dover fare molta RD
Non sempre la presenza di un inceneritore si è per forza rivelata un ostacolo per lo sviluppo della RD. Ad esempio, fino a pochi anni fa i bacini italiani con i più alti tassi di RD erano tutti ambiti territoriali che inviavano la frazione residuale a incenerimento, con la sola eccezione del Consorzio Priula di Treviso, che invece ha sempre fatto a meno di ricorrere all’incenerimento dei propri rifiuti indifferenziati.
Nella città di Amburgo, in cui sono attivi tre inceneritori - due dei quali sono tra gli impianti di incenerimento più tecnologicamente avanzati del mondo - la RD è attorno al 60% del totale: uno dei tassi di recupero più alti tra le grandi città europee. Tale risultato è ancora più notevole se si considera che ottenere alti tassi di RD è molto più difficile nelle grandi città.
Questi dati stanno ad indicare che la contrapposizione incenerimento-RD è in realtà un falso problema, almeno nella maggior parte delle situazioni. Per capirne il motivo basta ripensare a uno degli obiettivi fondamentali della RD, qui esposti al punto 1: detossificare il rifiuto. Chi gestisce un inceneritore non ha affatto interesse a trattare rifiuti che contengano materiali tossici, o incombustibili, o scarsamente combustibili. Deve invece assicurarsi che sia garantito il massimo impegno nella differenziazione a monte delle frazioni incompatibili con l'incenerimento, a partire da:
- frazione organica
- rifiuti pericolosi (come i rifiuti chimici domestici, i RAEE, le lampade al neon, i medicinali)
- scarti da costruzione & demolizione
Si tende a non destinare a incenerimento i rifiuti organici in quanto si tratta di una frazione contenente molta umidità e contraddistinta da una certa variabilità della sua consistenza percentuale nei RSU, a livello non solo stagionale ma anche settimanale o giornaliero.
La presenza di quote significative di rifiuti organici rende inoltre più difficile la gestione dell’area di stoccaggio da cui una benna preleva i carichi gettati nella camera di combustione. Ma, soprattutto, avere una percentuale variabile di sostanza organica nei rifiuti inceneriti determina una corrispondente oscillazione del valore del potere calorifico (PCI) del materiale trattato in un impianto. Per chi gestisce un inceneritore è invece conveniente che il PCI si mantenga più stabile possibile.
Il motivo è legato al modo con cui sono progettati gli impianti moderni. Gli inceneritori di RSU sono dimensionati in base al carico termico della massa complessiva degli scarti trattati, espresso in megawatt termici, più che per uno specifico quantitativo di rifiuti, espresso in tonnellate/anno. Trattare rifiuti con potere calorifico molto variabile rende più difficile mantenere una capacità di trattamento vicina ai valori massimi di progetto, dovendo invece rimanere prudenzialmente su livelli più bassi per evitare di superare il carico termico massimo sostenibile dall’impianto.
Destinare a incenerimento i RSU obbliga anche a dotarsi di sistemi il più possibile efficaci per differenziare a monte le frazioni di rifiuto più pericolose. Neanche i sistemi di selezione automatica più evoluti e raffinati, infatti, sono in grado di separare in modo specifico i rifiuti pericolosi. Pertanto, il metodo migliore per intercettare questa frazione rimane la RD in piazzole comunali attrezzate. Questo è il motivo per cui nel Nord Italia si ha la massima diffusione di piazzole ecologiche, in cui possono essere recuperate decine di frazioni merceologiche diverse, molte delle quali non differenziabili con altri sistemi.
Nella città di Vienna (in cui la RD è al 40%, con 4 inceneritori attivi: 3 per RSU e uno per rifiuti industriali) sono addirittura presenti 19 piazzole di riciclaggio, più 26 punti di raccolta di rifiuti pericolosi.
Come si vede, l’incenerimento non è per forza nemico della RD, ma tra i due sistemi intercorre una relazione, che ha anche un aspetto abbastanza paradossale. Per capirlo, immaginiamo di essere un amministratore che ha a disposizione una immensa discarica, in cui il conferimento di rifiuti costi una cifra ridicolmente bassa (questo era il caso di molte aree degli USA e anche del sud Italia, fino a una decina di anni fa). Vista la situazione, potrò contentarmi di un sistema di gestione dei RSU essenziale e difficilmente mi impegnerò nello sviluppare la RD, che sarebbe vista solo come complicazione e un potenziale fattore di rischio di aumento dei costi. Se invece un giorno decidessi di destinare a incenerimento tutti i rifiuti, sarei obbligato ad attivare prima possibile i sistemi di differenziazione delle frazioni non combustibili: dovrei quindi - come minimo - costruire isole ecologiche e avviare efficaci sistemi di RD del vetro, dei metalli e della sostanza organica.
Questo spiega come mai talvolta è stata proprio la decisione di costruire un inceneritore che ha accelerato lo sviluppo della RD, che altrimenti sarebbe andato molto a rilento, in mancanza di una forte motivazione.
Da quii deriva il mio “Comma 22 sui rifiuti” (ispirato al famoso romanzo antimilitarista “Comma 22”, di Joseph Heller):
COMMA 22 SUI RIFIUTI
«Se si vuole costruire un inceneritore bisogna fare bene la RD.
Ma se si fa bene la RD in genere l’inceneritore non serve più.»
E’ ovvio e doveroso far presente che tutte queste considerazioni sono valide solo a patto che gli impianti di incenerimento siano stati correttamente pianificati e progettati, in modo da essere destinati al trattamento dei soli flussi residui di una RD anch’essa ben progettata, come avviene ad esempio in Austria. E’ chiaro che gli inceneritori diventano invece un vero e proprio ostacolo per lo sviluppo della RD di rifiuti plastici e cellulosici quando:
- sono sovradimensionati: cioè gli inceneritori attivi in un bacino hanno una capacità di trattamento ben superiore alla quantità di rifiuti residui che risulterebbero in un sistema con la RD portata a regime e il più possibile rispondente alle “buone pratiche”;
- sono gestiti male e in maniera irresponsabile, senza un vero impegno sul fronte della detossificazione dei rifiuti in ingresso nell’impianto.
Se si fa molta RD, spesso poi non serve più incenerire
Non si deve pensare che avere eventualmente una posizione “laica” sull’incenerimento dei rifiuti, senza “parteggiare” per nessun sistema di trattamento, lasci la porta aperta ad una diffusione indiscriminata degli inceneritori. Si deve infatti prestare attenzione a un concetto importante.
Se si progettano efficaci sistemi di RD e di tariffazione puntuale si raggiungono facilmente tassi di RD pari o superiori all’obiettivo di legge del 65%. Ma, soprattutto, l’effetto combinato della differenziazione dei materiali recuperabili (dovuto alla RD) e di riduzione alla fonte della produzione di rifiuti (dovuto all’introduzione della tariffa) fa sì che in moltissimi bacini di gestione i quantitativi di rifiuti indifferenziati si riducano enormemente (come verrà meglio spiegato nel successivo capitolo 13). Fino al punto di non rendere conveniente la costruzione di un inceneritore. Un impianto che tratti poche decine di migliaia di tonnellate/anno non è infatti assolutamente economico.
In regioni in cui si registra una produzione procapite di RSU vicina ai 700 kg/anno per abitante, come l’Emilia Romagna (672 kg nel 2011) e la Toscana (646 kg nel 2011), portarsi sui livelli raggiunti in provincia di Treviso grazie alla RD domiciliare con tariffa puntuale (336 kg nel Consorzio TV3 e 350 kg nel Consorzio Priula) significherebbe dimezzare la produzione dei rifiuti e ridurre la quantità di rifiuti indifferenziati a smaltimento di quasi un ordine di grandezza.
Che l’introduzione di sistemi di gestione basati su RD porta a porta e tariffazione puntuale determini inevitabilmente una contrazione della produzione di RSU è ormai dimostrato non solo dalle esperienze di successo nei migliori bacini di gestione ma anche da molti studi autorevoli, come quelli condotti dall’ARPAV veneta e dalla Regione Lombardia.
Una dimostrazione di come non sia indispensabile incenerire i RSU viene dalla Provincia di Treviso, che pur essendo un’area estremamente produttiva e industrializzata tuttora riesce a fare a meno dell’incenerimento, grazie all’esempio virtuoso di buona gestione dei suoi bacini di raccolta, uno dei quali (il Consorzio Priula) riesce a riciclare più dell’80% dei propri rifiuti.