Luogo comune n. 10:

BISOGNA COSTRUIRE QUESTO IMPIANTO PERCHE’ LO PREVEDE IL PIANO

E’ falso, perchè:

I piani di smaltimento sono soggetti a revisione periodica

I piani di smaltimento servono ad organizzare la gestione dei rifiuti in un territorio nella maniera più razionale, economica ed efficiente possibile. Il tutto alla luce delle caratteristiche specifiche del territorio: per questo motivo nei miei piani ho fatto ben poco ricorso al copia-incolla, ma ogni volta ho praticamente sempre ricominciato da zero, in quanto ogni scelta doveva derivare da un’analisi specifica delle problematiche e delle condizioni locali.

Così come la diversità esistente tra i diversi bacini territoriali impone al pianificatore di adattare le prescrizioni alle singole specificità locali, l’eventuale cambiamento delle condizioni di contorno all’interno di uno stesso territorio costringe ad operare una simile revisione ed adattamento delle scelte strategiche dei piani precedenti. In questo senso, le prescrizioni di un piano rifiuti non sono immutabili: può infatti succedere che il piano sia ormai obsoleto e che non si abbia avuto la forza di revocare intese politiche su scelte che erano forse giuste 10 anni fa, ma ora si rivelino pessime.

Qualsiasi piano di smaltimento è soggetto a periodica revisione, alla luce delle nuove e mutate condizioni al contorno. Cambiamenti nella composizione merceologica dei rifiuti, aumento o diminuzione della produzione, andamento della RD, nuovi stili di vita, innovazioni tecnologiche: sono tutte condizioni che motivano l’aggiornamento di un piano di smaltimento, anche nelle sue impostazioni strategiche, incluse ovviamente le previsioni impiantistiche. Questo è il caso tipico dei piani realizzati negli anni ’90. Allora era veramente difficile immaginare che recuperare oltre il 40% degli RSU fosse possibile anche in Italia (e a quell'epoca il sottoscritto talvolta faceva fatica persino a convincere che il 30% fosse ottenibile...). Il fatto che adesso in Italia si riesca a raggiungere, non solo a livello di singolo comune ma anche a livello di bacino, tassi di RD dell’ordine del 70-80% da solo è condizione sufficiente a rendere obsoleta ogni scelta strategica risalente agli anni ’90.

Quindi le previsioni di piano non sono fisse e immutabili nel tempo. Nuove condizioni, errori strategici o anche il semplice accorpamento di bacini possono rendere non solo possibile ma doveroso revisionare e aggiornare la pianificazione vigente. Altrimenti, il rischio è di adottare scelte impiantistiche ormai ingiustificate, trovandosi con impianti appena costruiti nella stessa spinosa situazione in cui si adesso trovano i paesi nordici a causa dei troppi inceneritori costruiti 20 anni fa.

Stanno avvenendo grandi cambiamenti, che cambiano i flussi di RSU

Ricordo qui alcune delle più importanti novità degli ultimi anni:

  • la riduzione degli incentivi economici all’incenerimento;
  • l’obiettivo minimo di legge del 65% per la RD;
  • le nuove norme che limitano al massimo l’assimilazione agli urbani dei rifiuti speciali;
  • la diffusione in Italia dei sistemi di tariffazione puntuale, basati sul principio “chi più produce rifiuti più paga”;
  • il successo, in termini di tassi di RD, risparmio economico e di risorse, registrato dalle esperienze di gestione dei rifiuti nel Nord Italia, ormai un modello per tutto il mondo;
  • la riduzione della produzione di rifiuti;
  • la disponibilità di quote di smaltimento mediante incenerimento nei paesi del nord Eropa, a tariffe estremamente competitive.

La progressiva riduzione degli incentivi all’incenerimento di rifiuti è in atto da anni e non potrà che proseguire. La sparizione dei CIP6 e degli impropri incentivi per le energie “rinnovabili” renderà la pratica dell’incenerimento sempre più costosa e scarsamente ammortizzabile, se verranno applicate tariffe di mercato per i servizi. Questo aspetto sarebbe già da solo sufficiente a ribaltare l’ambito strategico in cui era stata decisa la costruzione di molti impianti di incenerimento.

Anche l’esigenza di raggiungere un tasso di RD del 65% è destinato a rivoluzionare il quadro strategico. Come evidenzia la precedente Figura 11.1, un simile livello di differenziazione può essere raggiunto solo abbandonando le raccolte mediante contenitori stradali a favore di raccolte “integrate”, attuate con sistemi di tipo domiciliare.

E quindi anche porsi semplicemente l’obiettivo di raggiungere l’obiettivo del 65% diventa una ragione per operare una revisione delle prescrizioni di piano, perchè - come già spiegato - adottare forme di RD domiciliare determina inevitabilmente una consistente riduzione dei flussi di RSU da smaltire. La contrazione della produzione di rifiuti, che da qualche anno si registra a livello locale e nazionale (nel 2012 il tasso di produzione a livello nazionale è tornato sullo stesso livello del 2002), è sicuramente un effetto della crisi economica globale, che facendo contrarre i consumi provoca una conseguente riduzione degli scarti. Tuttavia, questa è una tendenza su cui si innestano, seppur in maniera ancora marginale, tutta una serie di fattori di prevenzione della formazione di rifiuti all’origine. La maggiore consapevolezza dei problemi ambientali porta all’affermarsi di nuovi stili di vita e di consumo, per soddisfare i quali cresce l’offerta di prodotti e servizi ispirati al principio dello sviluppo sostenibile.

Ad esempio, in Italia, come nel resto del mondo, si sta registrando una crescente diffusione di:

  • fontanelli per l’erogazione di acqua di qualità;
  • sistemi per la distribuzione di prodotti alla spina (latte, detersivi, caffè, pasta, ecc.), anche nella grande distribuzione;
  • nuovi negozi e anche catene di negozi specializzati nella vendita di prodotti sfusi, senza alcun tipo di imballaggio;
  • sistemi di tariffazione puntuale, che incentivano in maniera diretta la riduzione della formazione di rifiuti.

In alcune province italiane i fontanelli che erogano acqua dell’acquedotto dopo affinazione organolettica sono ormai presenti in quasi ogni comune: solo nella citta di Firenze ce ne sono 16. Effecorta a Capannori, Eat’s Store a Conegliano Veneto, Ricarica a Milano, Pesonetto a Pesaro, È naturale a Bologna, Origini a Pavia sono solo alcuni dei negozi di prodotti sfusi che negli ultimi anni stanno proliferando nel nostro paese. E' interessante notare come i nuovi sistemi di vendita non siano limitati a qualche piccolo negozio: anche la grande distribuzione sta cominciando ad introdurre sistemi per la commercializzazione di prodotti non confezionati. Questo è ad esempio il caso di Unicoop Firenze, che sta diffondendo la vendita “alla spina” dei detersivi Viviverde Coop, e Auchan, che nei suoi punti vendita ha creato l’area Self Discount, in cui diversi tipi di prodotti sfusi vengono venduti a prezzo minore rispetto a quelli confezionati. Lo stesso sta avvenendo all’estero.

Ma il più forte contributo, in termini quantitativi, alla prevenzione dei rifiuti viene dai nuovi sistemi di tariffazione basati sul principio “chi più produce rifiuti più paga”. Le esperienze dei comuni lombardi e veneti (tra cui spiccano quelli riuniti nel Consorzio Priula) hanno dimostrato che associando la tariffazione puntuale dei rifiuti a nuovi sistemi di RD spinta dei rifiuti domestici e all’offerta un servizio di smaltimento per i rifiuti non domestici, si riescono ad ottenere:

  • tassi di RD vicino all’80%
  • una forte riduzione della produzione complessiva di rifiuti
  • significativi risparmi economici

La diffusione del “sistema Priula” avrebbe quindi l’effetto di rivoluzionare i sistemi di gestione in atto. Di tutto ciò la pianificazione non può non tenerne conto. Anche perchè, aldilà dell’andamento della crisi economica e della diffusione del sistema Priula, la riduzione della produzione di rifiuti è una tendenza ormai inarrestabile, anche per effetto dei nuovi stili di vita improntati all’abbandono della cultura dell’usa e getta, di cui le catene di negozi di prodotti sfusi sono solo un aspetto.

Continuare ad accettare piani con previsioni impiantistiche sovradimensionate sarebbe un errore, perchè disporre di un sistema di gestione di RSU largamente basato su impianti così poco flessibili esporrebbe al rischio di un’esplosione del costo dei servizi, così come sta avvenendo in alcuni paesi del nord Europa. Paesi che, peraltro, stanno importando quote crescenti di rifiuti dall’estero e che - finchè perdurerà l’attuale mercato comune per lo smaltimento di rifiuti, senza dazi o barriere doganali - potrebbero rappresentare un possibile canale di destinazione per la frazione indifferenziata, senza per forza dover costruire nuovi impianti.

Se si deciderà di applicare in maniera diffusa le “buone pratiche” di pianificazione, non si correrà più il rischio di avere casi limite come quello della Toscana. Un territorio in cui un solo impianto di incenerimento di grandi dimensioni sarebbe teoricamente sufficiente per smaltire tutti i RSU prodotti nella regione, ma in cui invece i vari piani di ATO porterebbero ad avere in funzione 9 inceneritori (si veda il calcolo di dettaglio nel mio ebook sui luoghi comuni). In pratica, la Toscana con 3,7 milioni di abitanti avrebbe più inceneritori per rifiuti urbani di tutta l’Austria (che con 8,3 milioni di abitanti ha in funzione 7 impianti per RSU). Alla faccia di quegli amministratori che in continuazione additano come esempio il “termovalorizzatore” di Vienna…